Ho un'immagine impressa nella mia mente oggi: aquiloni, brillanti.
Penso alla Pasqua, al rituale con mio zio, cercare la carta d'uovo più grande,più bella e iniziare l'opera.
Le canne, incollare, il filo:ecco l'aquilone.
Correre per la via dei nonni, non c'era un filo d'aria. Lo trascinavo.
Quella via non più abitata da loro.
E ora ripercorro attimi che dimentico, che inconsciamente voglio scordare.
Gli occhi di mia nonna, pochi mesi addietro, in rianimazione.
Frugavano, in cerca di qualcosa nei miei.
La bocca intenta a masticare il tubo, le labbra secche.
I suoi occhi vagavano nei miei.
So cosa significa perdere qualcuno steso in quel letto, nell'attesa. In quella zona bianca, di nebbia, in attesa.
E poi, nel tardo pomeriggio giungevano le nubi,
foriere di tempesta. L'aquilone volava, forse troppo.
Le mia mani incaute se lo lasciavano scappare, viaggiava per i campi in lontanza. Lo rimpiangevo
Mi biasimavo per non averlo saputo tenere bene, abbastanza forte.
Da qualche parte ci sarà un cimitero di aquiloni fuggiti.
O forse semplicemente, ciò che deve andare,va via, guidato dal vento, sempre più in alto.
Fino a perdita d'occhio
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